Con lo scoppio della guerra in Ucraina, l’Italia e l’Europa sono state costrette a fare i conti con la propria dipendenza energetica, una condizione ben nota da tempo che ora però necessita di una soluzione rapidissima. Cerchiamo di tradurre in cifre questa definizione: quanta energia produciamo? da dove arriva la quota di energia che importiamo da altri Paesi?
La dipendenza energetica in cifre
L’Europa si affida per il 53,4% alle importazioni, con cifre che negli anni 2010-20 sono nettamente in rialzo. L’Italia lentamente tenta di diminuire la propria dipendenza energetica ma la percentuale di energia importata resta del 75,9% (dati Eurostat riferiti al 2014).
Con questi dati poco incoraggianti a fare da sfondo, è scoppiata la guerra.
Oggi il 40% del nostro fabbisogno energetico è soddisfatto da gas naturale. Significa cioè che la produzione energia elettrica e i consumi di energia delle nostre aziende e fabbriche, oltre a quelli civili, sono coperti da questa fonte. Il dato più preoccupante è però un altro: il 40% di gas naturale arriva dalla Russia.
Il restante è coperto per un terzo da petrolio, con un 10% che arriva anche in questo caso dalla Russia.
Dalla Russia arriva anche circa il 60% del carbone che utilizziamo per coprire il 3,3% del nostro fabbisogno energetico. Anche quest’ultimo dato, naturalmente, ha generato una riflessione spontanea sulla possibile riapertura delle centrali italiane ormai chiuse: oltre che molto inquinanti non risolverebbero il problema della necessità di fornitori alternativi rispetto a Mosca.
Dipendenza energetica: le cause
Il principale motivo della dipendenza cronica dell’Italia da fonti estere è per molti interlocutori la mancanza di una vera strategia energetica nazionale che possa condurre il nostro Paese ad una progressiva autonomia rispetto ai fornitori esteri. In altre parole, secondo questa interpretazione, tutte le altre cause sono conseguenti alla “pigrizia” dell’Italia nell’elaborazione di una soluzione che, negli anni, ci avrebbe liberato da una dipendenza così marcata da Paesi esteri.
D’altra parte, abbiamo di fronte l’esempio di molti Paesi europei che con una certa lungimiranza sono riusciti in questa impresa e progressivamente si sono slegati, almeno in parte, dalle importazioni. Ecco quelli che fanno registrare percentuali di energia proveniente dall’estero decisamente meno preoccupanti delle nostre: Estonia (8,9%), Danimarca (12,8%), Romania (17,0%), Polonia (28,6%), Repubblica Ceca (30,4%), Svezia (32,0%).
Un altro dato interessante è quello che mette in connessione la quantità di energia consumata e le importazioni. Da questa prospettiva, i Paesi europei che consumano la maggior quantità di energia ma sono anche i meno dipendenti dall’import sono il Regno Unito (45,5%) e la Francia (46,1%).
Il ruolo secondario delle rinnovabili
Scendiamo più a valle e analizziamo il caso italiano prendendo in esame alcuni dei motivi che ci hanno spinto verso il gas naturale. Non possiamo infatti trascurare le vicende storiche e geopolitiche degli ultimi decenni, dalla crisi petrolifera degli Anni Settanta fino alla chiusura delle centrali nucleari italiane incoraggiata anche dalla tragedia di Chernobyl. Sottolineiamo però che, seppur non producendola, l’Italia importa energia generata proprio dal nucleare.
Manca all’appello una causa determinante della nostra dipendenza dall’estero: la poca decisione nella transizione marcata verso fonti rinnovabili, in un Paese che ne ha a disposizione una quantità notevole, seguita da una gestione poco efficace degli incentivi che ha portato sostanzialmente ad una concessione poco razionale all’inizio degli Anni Duemila. Il resto è attualità.